La Repubblica romana del 1849

"Ogni potere viene dal popolo" (art. 15 della Costituzione)

Il 9 febbraio 1849 a Roma, la capitale dello Stato Pontificio, fu proclamata la Repubblica romana, basata su principi di uguaglianza, democrazia e laicità. Il papa Pio IX era fuggito settantasette giorni prima nella fortezza di Gaeta, rifugiandosi presso il re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone.
La Repubblica romana ebbe termine dopo 145 giorni, il 4 luglio 1849, schiacciata dall'intervento delle truppe francesi di Luigi Napoleone (futuro imperatore Napoleone III) che calpestò persino la costituzione francese del 1848, secondo la quale, al punto V del preambolo, la Repubblica "rispetta le nazionalità straniere così come intende far rispettare la propria, non intraprende nessuna guerra a fini di conquista e giammai impiega le sue forze contro la libertà di alcun popolo". Invece le truppe di Luigi Napoleone aggredirono la Repubblica romana, ingerendosi violentemente nelle questioni interne di un'altra nazione, e contraddicendo i principi di libertà, uguaglianza e fraternità della Rivoluzione francese.
La Repubblica romana del 1849 non va confusa con la Repubblica dell'antica Roma (dal 509 al 27 a.C.) e con la Repubblica romana giacobina del periodo napoleonico (1798-99).

Roma nel 1849
Nel 1849 la città di Roma aveva 179mila abitanti
(Natalini), mentre, secondo il censimento del 1844, nello Stato pontificio vivevano 2.929.807 abitanti (Severini). Lo stesso censimento contava a Roma ben 6.189 tra cardinali, vescovi, religiosi, religiose e solo 4.427 persone professavano scienze, lettere, belle arti e 756 erano medici chirurghi, farmacisti e levatrici (Natalini). Lo Stato Pontificio, aveva un territorio comprendente parte dell'Emilia (province di Bologna e Ferrara), la Romagna, le Marche, l'Umbria e parte dell'attuale Lazio, con esclusione della parte meridionale delle attuali province di Latina e Frosinone e della parte orientale della provincia di Rieti.
Dopo le fallite insurrezioni del 1820-21 e 1830-31, gli anni di governo dell'ultra-reazionario papa Gregorio XVI, erano stati segnati da un ottuso oscurantismo e da una dura repressione politica, attuata dalla polizia insieme al potere ecclesiastico: la polizia consegnava liste di liberali ai vescovi, che ricambiavano con altre liste. Potevano essere schedati come liberali anche quelli che non frequentavano assiduamente le messe o che avevano la barba
(Carocci).
Esistevano anche i desaparecidos: la testimonianza di un qualsiasi prete bastava a far sparire un presunto patriota, ad opera di bande di sanfedisti e Volontari Pontifici che avevano mano libera nel torturare e uccidere
(Carocci). Le riunioni clandestine dei liberali erano infiltrate da spie che creavano complotti per denunciarli all'autorità ecclesiastica. La reazione era un'opposizione sotto traccia, cospirativa e violenta, spesso basata sugli omicidi politici come vendetta (Carocci).

Il voltafaccia di Pio IX
Al suo insediamento sul trono pontificio, il 21 giugno 1846, Pio IX (Giovanni Maria Mastai-Ferretti) aveva generato grandi speranze, era un pontefice giovane (54 anni), all'apparenza progressista, aperto all'unità d'Italia, tanto che era stato addirittura proposto da Giuseppe Mazzini e da molti altri come capo di Stato di una futura Italia unita
(Monsagrati). Il 17 luglio, dopo un mese dalla sua elezione, il papa emise un decreto di amnistia “A tutti i nostri sudditi che si trovano attualmente in luogo di punizione per delitti politici condoniamo il rimanente della pena”.
Venne poi la "primavera dei popoli", la serie di rivolte che scoppiarono nel 1846-47 a Palermo, Napoli e Torino
(Natalini) e nel 1848 e 1849 in vari paesi d'Europa, che sollecitarono molti regnanti, compreso Pio IX, a concedere la costituzione e un'Assemblea elettiva: Ferdinando II re delle Due Sicilie concesse la Costituzione il 29 gennaio 1848, Carlo Alberto, re di Sardegna lo Statuto l'8 febbraio, il granduca Leopoldo II di Toscana lo Statuto il 15 febbraio (Natalini). Queste costituzioni e statuti, tranne quello di Carlo Alberto, vennero poi revocati con la reazione che intervenne nel 1849.
Nel marzo 1847 Pio IX addirittura mandò in Lombardia le truppe pontificie, al comando del generale Giovanni Durando in appoggio al re di Sardegna Carlo Alberto per combattere contro gli austro-ungarici per l'unità d'Italia, salvo poi richiamarli indietro per non urtare l'Impero austro-ungarico, potenza cattolica.
Le concessioni di Pio IX gli diedero una grandissima popolarità, ma generarono anche aspettative sempre maggiori, che Mastai-Ferretti non fu in grado di soddisfare. Per reazione il papa assunse posizioni sempre più retrograde, sulla spinta del cerchio di cardinali reazionari di cui si era circondato, in primo luogo il segretario di Stato Giacomo Antonelli, chiacchieratissimo per la sua passione per il denaro e per le donne.
Il patriota toscano Giuseppe Montanelli descrisse una messa officiata dal papa: "Eranvi tutti i cardinali. Li ho squadrati ad uno ad uno. Ho cercato su quelle facce invano un raggio d'intelletto, e d'amore. Faccie di imbecilli o di tristi. Che sguardo di iena il cardinale Lambruschini! Che figura sinistra il cardinale Marini! Che furbacchiolo Antonelli!"
(Kertzer). Lo scrittore russo Aleksandr Herzen vide invece il cardinale Luigi Lambruschini avvicinarsi al papa con “l'aspetto di un vecchio sciacallo” e “mi aspettavo che mordesse il Santo Padre, invece si abbracciarono tranquillamente(Kertzer).
L'inviato del primo ministro britannico, lord Minto (Gilbert Elliot-Murray-Kynynmound, conte di Minto), incontrò il papa e scrisse di lui e del segretario di stato: “la loro ignoranza di tutto quello che si trova oltre le mura di Roma è quasi incredibile e sono quindi soggetti a ogni tipo di intrighi
(Kertzer).

Altre Repubbliche nel 1848 e 1849
Il 22 marzo 1848 nacque a Venezia la Repubblica di San Marco, presieduta da Daniele Manin, comprendente il Veneto e il Friuli, che dopo il trattato di Campoformido del 1797 appartenevano all'impero austro-ungarico. Il 4 luglio la Repubblica di San Marco votò la propria annessione al Regno di Sardegna, nucleo del futuro Regno d'Italia. La Repubblica durò un anno e cinque mesi, finché il 22 agosto 1849 non fu travolta dall'esercito asburgico, che rientrò in possesso dei territori, salvo poi lasciarli definitivamente all'Italia nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza italiana.
Il 15 febbraio 1849 fu proclamata a Firenze la Repubblica toscana, guidata da Francesco Domenico Guerrazzi, che fu rovesciata il 12 aprile dai sostenitori del Granduca di Toscana Leopoldo II. Anche in Toscana ebbe quindi libero spazio l'invasione delle truppe austro-ungariche, guidate dal luogotenente-feldmaresciallo Konstantin d'Aspre, che saccheggiarono senza freni e uccisero centinaia di persone, in particolare a Livorno, ed occuparono la Toscana fino al 1855.

La rivolta a Roma
La spinta per l'unità d'Italia, fomentata dall'iniziale appoggio del papa, andava di pari passo con la richiesta della fine del regime dispotico della Chiesa: il popolo chiedeva libertà di stampa, rimozione dalle alte cariche degli ecclesiastici e dei clericali e loro sostituzione con laici, istituzione di milizie civiche al posto di quelle mercenarie, costruzione di ferrovie e illuminazione pubblica nelle case
(Kertzer).
Le rivendicazioni civili erano accompagnate dalle proteste per il forte aumento dei prezzi del pane e della farina, in un periodo di grandissima disoccupazione. Il caro prezzi era dovuto alla carestia causata dalla siccità del 1845 e del 1846, che aveva reso necessario importare grano dall'America Settentrionale
(Demarco).
Questa contingenza aveva spinto molti speculatori a comprare grano sui mercati del Mar Nero e dalla Russia, ma il raccolto abbondante del 1847 aveva fatto crollare i prezzi, mandando in rovina molte ditte che commerciavano sul mercato granario, paralizzando il credito privato e il commercio
(Demarco).
Si verificarono anche episodi di luddismo, a seguito dell'introduzione di macchine operatrici, che avevano causato la perdita di posti di lavoro. A Trastevere si parlava di un complotto dei lanari per distruggere i telai meccanici
(Demarco), secondo il principe Agostino Chigi nel rione Regola il 5 dicembre 1847 circolavano voci ostili alle macchine, che tolgono il lavoro al popolo, "e delle quali non esiste quasi nessuna" (sic) e anche a Perugia nel 1847 i proletari, "inaspriti dalla mancanza di lavoro e di pane, e mossi fors'anco dall'invidia portata al capitale(sic)", progettavano di “distruggere le macchine del ricco e accorto fabbricatore di panni Leopoldo Bonucci(Bonazzi).
Il carnevale del 1848 fu celebrato in modo dimesso, in segno di lutto per le vittime delle rivolte in Lombardia
(Chigi), senza la tradizionale festa dei moccoletti (lumini di cera che ognuno portava con sé e che cercava di tenere accesi, mentre cercava di spegnere quelli degli altri). Il 19 marzo 1848 un’ordinanza del Ministro dell’Interno, annunziava che d’ora innanzi le Bandiere Pontificie bianche e gialle avrebbero avuto le cosiddette cravatte dei tre colori italici, cioè verde, rosso e bianco (Chigi).
Si creò quindi a Roma e nel resto dello Stato Pontificio uno stato di perenne agitazione e sommossa, con rivendicazioni sociali da parte delle classi più povere, operai, artigiani, braccianti agricoli, che minacciavano di sollevare una vera insurrezione contro le classi benestanti e l'ordinamento stesso della proprietà. La stampa conservatrice non esitava a definire tutti costoro “comunisti”
(Demarco).
Tra i più attivi nelle rivolte, pur nella fedeltà a Pio IX, ancora considerato un papa liberale in ostaggio di cardinali reazionari, si distinse Angelo Brunetti
, detto Ciceruacchio, molto popolare tra i romani perché aveva dato grandi prove di altruismo e capacità di aiuto del prossimo in occasione di calamità.
Il clima politico incandescente portò il 15 novembre 1848 all'assassinio del capo del governo pontificio Pellegrino Rossi nel palazzo della Cancelleria, dove si stava recando per parlare al consiglio dei deputati.
Il giorno dopo la folla assediò il palazzo del Quirinale per chiedere riforme, diede fuoco a un portone, puntò un cannone contro il palazzo, qualcuno sparò e uccise monsignor Palma affacciato a una finestra
(Kertzer). Le forti tensioni spaventarono il papa, spingendolo il 24 novembre 1848 a fuggire da Roma per Gaeta, travestito da prete, nella carrozza dell'ambasciatore bavarese conte Carlo di Spaur, insieme alla moglie di questo, Teresa Giraud, sfuggendo all'assedio del Quirinale da parte delle guardie civiche. Nel palazzo intanto l'ambasciatore francese d'Harcourt fingeva di conversare con lui ad alta voce per coprire la fuga (Kertzer).
Le potenze cattoliche, Francia, Spagna e Impero austro-ungarico contesero al Regno delle Due Sicilie l'onore di ospitare il papa, mentre riceveva offerte d'asilo anche dal Regno Unito e addirittura da New York
(Monsagrati). Pio IX scelse come ospite Ferdinando II, che amava vantarsi della sicurezza del suo regno, dicendo che era difeso su tre lati dall'acqua salata e sul quarto dall'acqua santa (il Regno delle Due Sicilie era circondato su tre lati dal mare ed aveva una sola frontiera terrestre, con lo Stato Pontificio) (Kertzer).

Roma senza il papa
Quella che Garibaldi chiamò “la fuga vergognosa dei soldati dei preti e della reazione”, invece di creare disordini per mancanza di governo, spinse i romani ad autogestirsi: tra dicembre 1848 e gennaio 1849 si succedettero diversi governi, finché il 21 e 22 gennaio si tennero le elezioni per l'Assemblea nazionale, che videro la partecipazione di circa 250mila elettori, un terzo degli aventi diritto, e si svolsero senza incidenti
(Kertzer). Furono le prime elezioni a suffragio universale in Italia e tra le prime al mondo, anche se per consuetudine votavano solo i maschi.
Gli eletti furono 200, di cui solo 27 erano nobili. Tra di essi Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino, nipote di Napoleone e cugino di Luigi Napoleone, presidente della Repubblica francese, Pietro Sterbini, poeta mazziniano ed ex-carbonaro e ministro sia dello Stato pontificio, sia della Repubblica romana, e monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli, intellettuale e primo ministro di uno degli ultimi governi di Pio IX prima dell'avvento della Repubblica, oltre a Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini.
Un gesuita nelle sue memorie non nascose il fastidio per la forte partecipazione popolare, in particolare per il fatto che il becchino di Trastevere avesse ricevuto più di cento voti
(Carocci). L'Assemblea costituente fu istituita nella seduta del 29 dicembre 1848 dell'Assemblea nazionale (Mazzuca), e iniziò i lavori il 5 febbraio 1849, con i suoi membri che vestivano la fascia con il tricolore italiano (Chigi).
A riprova della vivacità della vita pubblica romana c'è la prima rappresentazione il 27 gennaio al Teatro Argentina dell'opera di Giuseppe VerdiLa battaglia di Legnano” scritta su richiesta del teatro stesso, con tema patriottico, che suscitò grande entusiasmo tra i romani, con grida di "Viva Verdi!" e "Viva l'Italia!" dal coro iniziale "Viva Italia! Sacro un patto / Tutti stringe i figli suoi " al coro finale "Italia risorge vestita di Gloria, invitta e regina qual'era sarà".

La nascita della Repubblica
Il 9 febbraio 1849 l'Assemblea nazionale proclamò dal Campidoglio la Repubblica romana, e immediatamente Goffredo Mameli inviò un telegramma a Mazzini: scrivendo: “Roma, Repubblica, Venite”. Mazzini entrò a Roma da Porta del Popolo il 5 marzo
(Chigi). La Repubblica era guidata da un triumvirato, formula scelta per evitare la presidenza, che dava troppo potere a uno solo, risultando simile a una monarchia, mentre il consolato poteva portare a una deriva napoleonica, e semplici ministeri sarebbero stati troppo soggetti a crisi (Severini). Il primo triumvirato era composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, che come primo atto, peraltro non pubblicizzato, si dimezzarono l'assegno mensile (Monsagrati).
La Repubblica romana, già nel suo primo giorno di insediamento, emise il Decreto fondamentale proposto da Quirico Filopanti (pseudonimo di Giuseppe Barilli), approvato con 120 voti a favore, 10 contrari, 12 astenuti
(Natalini), che stabiliva che il papato era decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano, mentre gli riconosceva e garantiva l'esercizio del potere spirituale.
Fino alla proclamazione della Costituzione, il Decreto Fondamentale fu la legge di base della Repubblica e il regime era di fatto democratico perché tutti gli atti dei vari poteri erano subordinati all'Assemblea eletta dal popolo
(Monsagrati).
La proclamazione della Repubblica fu accompagnata da grandi manifestazioni di giubilo popolare, con salve di cannone, suono di campane, funzioni religiose, spettacoli pirotecnici, feste e banchetti, erezione di alberi della libertà, vessilli tricolori, illuminazione delle pubbliche vie e dei principali palazzi, affissione di manifesti e proclami del governo sui muri, comizi improvvisati e discussioni e dibattiti nei luoghi pubblici
(Severini).

Le scelte della Repubblica
La Repubblica romana, nella sua breve vita, fu un autentico laboratorio di democrazia, nel quale si sperimentarono pratiche di partecipazione sconosciute altrove. Varò molte leggi per garantire i diritti civili a quelli che erano diventati cittadini e non più sudditi: fu il primo stato europeo a proclamare che la credenza religiosa era libera e non poteva costituire una discriminante per l'esercizio dei diritti civili, furono abolite la pena di morte e la tortura
(Prili), fu introdotto il suffragio universale e la partecipazione delle donne alle assemblee preelettorali. Furono poi aboliti la censura sulla stampa e cessò la giurisdizione ecclesiastica sulle scuole e le università, fatta eccezione per i seminari, come anche sugli ospedali, gli orfanotrofi e tutti gli stabilimenti di beneficenza (Chigi). Fu istituita una Commissione di nove deputati per raccogliere le segnalazioni dei cittadini su problemi, abusi, torti subiti, bisogni, reclami e altro, che fu molto attiva (Monsagrati), fu abolito il Tribunale del Sant'Uffizio (la Santa Inquisizione), e la liberazione dei prigionieri di questo tribunale ebbe un altissimo valore simbolico (Kertzer).
Fu istituito il matrimonio civile, la maggiore età per uomini e donne a 21 anni, fu abrogata l'esclusione di donne e loro discendenti dalla successione, fu abolita la leva obbligatoria, furono sanciti il diritto alla casa e la laicità dello Stato
(Prili). Nei tribunali fu del tutto abolito l'uso della lingua latina (Chigi).
Altri provvedimenti attaccarono il potere economico della chiesa cattolica: furono incamerati i beni delle corporazioni ecclesiastiche per 120 milioni di scudi
(Prili), e le terre furono date in enfiteusi libera e perpetua a famiglie contadine, e ci fu un inizio di riforma agraria dando un rubbio (poco meno di 2 ettari) di terra alle famiglie di almeno tre persone. Fu sequestrato il palazzo del Tribunale del Sant'Uffizio per dividerlo in appartamenti da affittare ai bisognosi (Monsagrati).
Ogni cavallo trovato nei palazzi del Vaticano e del Quirinale fu confiscato, così come quelli di proprietà della Guardia nobile pontificia
(Kertzer).
Si iniziarono a creare le strutture di uno stato moderno, come l'Ufficio centrale di Statistica e l'Istituto nazionale per le vaccinazioni.
Altre leggi istituirono un prestito forzoso da parte dei più ricchi, che poteva arrivare ai due terzi dei beni, e fu abolito il Monopolio del sale, concesso in appalto al duca Alessandro Torlonia, con esclusiva del commercio e riscossione della tassa, che aveva fruttato enormi guadagni
(Natalini). Il prezzo fu ridotto a un baiocco la libbra, e fu anche abolito il monopolio dei tabacchi (Chigi).
Per il resto la Repubblica rispettò gli uomini del vecchio regime, a parte eccessi individuali, spesso dovuti a vendette. A posteriori Mazzini disse “governammo senza prigioni, senza processi
(Morigi).

La stampa della Repubblica
La libertà di stampa nelle Repubblica romana si espresse in un gran numero di pubblicazioni edite soprattutto a Roma e che incontravano un grande successo, anche se spesso avevano una breve durata. Tra di essi il Don Pirlone, "giornale di caricature politiche", il Cassandrino, "giornale comico-politico di tutti i colori", trisettimanale, che da marzo 1849 continuò con il "Cassandrino repubblicano : giornaletto di assoluta liberta per la grazia di Dio e del popolo", "Il Tribuno", giornale quotidiano, politico, letterario, il quotidiano "Il positivo", il quotidiano "Il contemporaneo", sul quale scriveva anche Pietro Sterbini, "L' Italia del popolo" : "giornale quotidiano dell'Associazione nazionale italiana, diretto da Giuseppe Mazzini", Il costituzionale romano" giornale politico trisettimanale, che alla fine della Repubblica continuò con "L'Osservatore romano", predecessore dell'omonimo attuale quotidiano vaticano.

Una collezione completa (75 testate) dei periodici della Repubblica romana e del periodo immediatamente precedente, insieme a migliaia di altri documenti digitalizzati su questo tema, si può consultare sul sito web dedicato www.repubblicaromana-1849.it della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma.

I difensori della Repubblica
Alla proclamazione della Repubblica l'esercito pontificio passò in blocco dalla parte degli insorti
(Prili), inoltre accorsero rivoluzionari da tutta Europa, tedeschi, francesi, inglesi, polacchi, belgi, svizzeri, ungheresi e olandesi, riuniti nella Legione Straniera, di 1.400-1.500 unità (Carocci).
Mazzini in Assemblea chiese con urgenza provvedimenti per la sopravvivenza della Repubblica, e su sua proposta fu eletta una commissione militare di cinque membri, con a capo Carlo Pisacane, già ufficiale borbonico diplomato alla scuola militare della Nunziatella, per elaborare piani di difesa dello Stato
(Natalini). Tra i compiti della Commissione c'era anche la distribuzione di armi (picche, alabarde, pietre e “qualsiasi strumento atto a poter ferire”) (Carocci).
Il 27 aprile Giuseppe Garibaldi entrò a Roma da Porta Maggiore, chiamato da Mazzini, due giorni dopo lo sbarco dei francesi a Civitavecchia. Le sue truppe furono collocata nel monastero dì San Silvestro in Capite, in piazza San Silvestro, dal quale furono sgomberate le suore
(Chigi). Garibaldi fu nominato generale di brigata, ma rimase deluso perché avrebbe voluto essere nominato generale in capo (Garibaldi).
Vennero formate quattro brigate. La prima di 2.700 uomini, agli ordini di Garibaldi per difendere il settore tra Porta Portese e Porta San Pancrazio, comprendente legione garibaldina, battaglione giovani reduci, battaglione universitario, legione emigrati e finanzieri.
La seconda brigata, di 400 uomini, comandata dal colonnello Luigi Masi, copriva la zona tra Porta Cavalleggeri e Porta Angelica, la terza brigata comandata dal colonnello Savini, era schierata a difesa delle mura sulla sinistra del Tevere, mentre la quarta brigata, di 3.000 uomini, agli ordini del colonnello Bartolomeo Galletti, di riserva, per intervenire dovunque ci fosse bisogno, e comprendeva la Legione Romana, gli Zappatori del Genio, e i Carabinieri
(Prili)
La Repubblica romana scontò una mancanza di uomini e di armi, tanto che il 1° aprile un decreto intimò ai cittadini di consegnare, dietro pagamento, i propri fucili. Tutte le campane inutilizzate della città fossero impiegate per costruire cannoni per la difesa della Repubblica
(Kertzer), e le carrozze dei nobili e dei cardinali furono requisite e private degli abitacoli per farne carri per trasporti militari (Chigi).

Pio IX la prende male
Pio IX reagì in modo violento alla creazione della Repubblica romana, e anche dopo la sua fine vomitò una quantità impressionante di contumelie e calunnie contro i suoi successori al potere. Nella lunga allocuzione del 20 aprile 1849, nota come "Quibus quantisque" disse, tra l'altro: "le domande di nuove istituzioni ed il progresso tanto predicato da tali uomini mirano unicamente a tenere sempre vive le agitazioni, a eliminare ogni principio di giustizia, di virtù, di onestà, di religione; e ad introdurre, a propagare ed a far largamente dominare in ogni luogo, con gravissimo danno e rovina di tutta la società umana, l’orribile e fatalissimo sistema del Socialismo, o anche Comunismo, contrario principalmente al diritto ed alla stessa ragione naturale".
E ancora: "molto bene conoscete, Venerabili Fratelli, quelle orrende e mostruose opinioni che, scaturite dal fondo dell’abisso a rovina e a desolazione, già prevalsero e vanno furibonde con danno immenso della Religione e della Società. Le quali perverse e pestifere dottrine i nemici non si stancano mai di diffondere nel volgo, con le parole e con gli scritti, e nei pubblici spettacoli per accrescere e propagare ogni giorno di più la sfrenata licenza di ogni empietà, di ogni cupidigia e libidine".
E "la città di Roma, sede principale della Chiesa Cattolica è ora divenuta, ahi! una selva di bestie frementi, ridondante di uomini d’ogni nazione, i quali o apostati, o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo o del Socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in qualsivoglia altro modo si studiano con ogni sforzo d’insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere, e di corrompere il cuore e l’animo di tutti, affinché in Roma stessa, se fosse possibile, si guasti la santità della Religione Cattolica, e la irreformabile regola della Fede"
Il papa e i suoi sostenitori misero in atto tutte le misure possibili per ostacolare la repubblica, dal boicottaggio da parte degli impiegati pubblici alle consuete madonne addolorate o altre immagini sacre che piangevano o che aprivano gli occhi o scolorivano.
Pio IX fu preso di mira da numerose caricature e il 26 maggio 1849 fu persino l'oggetto di una pubblicazione detta "Corollario di jettature" nel quale veniva additato come menagramo, indicando una serie di coincidenze negative che avevano come vittime persone che lo avevano incontrato o luoghi con cui aveva avuto a che fare.
Il papa scomunicò i promotori della Costituente, ma i romani la presero in burla, scrivendo su una latrina in via Frattina “deposito di scomunica”, e prendendo dei cappelli cardinalizi di latta, che si tenevano in mostra da cappellari, portandoli come in una processione mortuaria e poi buttandoli nel fiume da Ponte Sisto
(Chigi).

In soccorso del papa
Il papa chiese in modo insistente alle monarchie cattoliche di intervenire per rimetterlo sul trono. L'Impero austro-ungarico, a cui appartenevano la Lombardia e il Veneto, temeva un eccesso di liberalismo in Italia
(Prili), e il 23 marzo 1849, il giorno dopo aver sconfitto Carlo Alberto, il cancelliere Klemens von Metternich ordinò di occupare le province settentrionali dello Stato pontificio, con l'esercito guidato da Franz von Wimpffen, prima Ferrara e provincia, poi Bologna, dove incontrò un'accanita resistenza, vinta solo con un intenso bombardamento, che causò molte vittime e distruzione. Gli autro-ungarici conquistarono poi Imola, Forlì, Cesena e Rimini (Prili), quindi l'Umbria e le Marche (Monsagrati).
Il 27 aprile il re delle Due Sicilie Ferdinando II con ministri, dignitari ed esercito varcò il confine della Repubblica romana. Garibaldi, nonostante fosse rimasto ferito nei combattimenti contro i francesi del 30 aprile, uscì da Roma per andargli incontro il 4 maggio, lo sconfisse a Velletri e Palestrina e lo respinse
(Natalini), e solo il divieto da parte dei vertici militari repubblicani impedì all'Eroe dei due mondi di inseguirlo nel Regno. I soldati regnicoli avevano un terrore quasi religioso di Garibaldi e dei suoi soldati, tanto che erano molto propensi ad arrendersi.
L'esercito spagnolo, invece, intervenne con molto ritardo e con pochi effettivi (secondo Chigi 40 o 50), arrivando in pratica a cose fatte.

L'intervento francese
La Francia si trovava invece in una posizione delicata, la seconda Repubblica, nata il 25 febbraio 1848, da una parte era legata alla propria costituzione secondo la quale "giammai impiega le sue forze contro la libertà di alcun popolo" e stabiliva la libertà di culto, e dall'altra vedeva il presidente della Repubblica neo-eletto, Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone, assumere posizioni ambigue e opportuniste, ma sostanzialmente reazionarie.
La Francia inviò il "Corpo di spedizione del Mediterraneo" guidato dal generale Nicolas Charles Victor Oudinot, che salpò da Marsiglia e Tolone il 21 aprile 1849 con 7.000 uomini, spacciato come difensore dei legittimi interessi economici francesi, per evitare l'intervento dell'Austria. Oudinot prometteva di “rispettare il voto delle popolazioni romane” e “non imporre alle popolazioni un governo che esse non desiderassero”.
I francesi alle 11:00 del 25 aprile 1849 iniziarono a sbarcare a Civitavecchia, dove immediatamente intimarono ed ottennero la resa della locale guarnigione repubblicana, facendo così capire le proprie intenzioni. Lungo la strada per Roma i francesi incontrarono numerosi cartelli che ricordavano loro gli impegni di fratellanza e non ingerenza imposti loro dalla Costituzione del 1848.
Anche i residenti francesi a Roma si rivolsero ai loro connazionali in divisa con un manifesto, chiedendo loro di non tradire gli ideali della Francia repubblicana e di non intervenire in armi a sostegno dell'assolutismo.
Una delegazione di deputati dell'Assemblea romana invitò Oudinot a revocare l'assalto, per evitare di incontrare una violenta resistenza. Il generale rispose sprezzante "Sciocchezze! Gli italiani non combattono. Ho prenotato un tavolo per cena all'Hotel de la Minerve, e arriverò in orario"
(Kertzer).
Oudinot non godeva di grande stima come militare: per il ministro degli esteri francese Alexis de Tocqueville, era talmente ottuso da non riuscire a pensare a due cose alla volta: porre fine al “terrore” esercitato dai “demagoghi” e al contempo incoraggiare il “partito dei liberali”. Un editoriale del Times il 5 luglio diceva: “il generale Oudinot è stato scelto per l'incarico perché figlio di un maresciallo napoleonico e grazie alle sue conoscenze nella società francese
(Kertzer).
Oudinot credeva quindi di trovare le porte aperte e il 30 aprile ordinò l'assalto alla città, tra l'altro pianificando l'entrata dalla Porta Pertusa, che era murata da due secoli
(Natalini). I francesi furono invece respinti con gravi perdite, lasciando molti prigionieri, e si accamparono a Castel di Guido, a 20 chilometri dalla città.
Il 7 maggio il Triumvirato decretò che, non potendo mai considerare la Repubblica Francese e quella Romana in stato di guerra, si rimandavano i prigionieri francesi alla loro armata e s’invitava il popolo a festeggiarli, e così accadde
(Chigi).
Si instaurò quindi una tregua di fatto, mentre Oudinot chiedeva rinforzi e nell'Assemblea nazionale francese i deputati di sinistra imponevano l'invio di un mediatore plenipotenziario, il diplomatico Ferdinand De Lesseps, per trattare. De Lesseps concordò con Mazzini il 30 maggio una sorta di protezione francese della popolazione romana
(Monsagrati), senza interferire nell'amministrazione (Natalini), ma nell'accordo non era nominata la Repubblica romana (Monsagrati).
Oudinot rifiutò la proposte di Lesseps e nel frattempo, il 14 maggio, le elezioni legislative in Francia ebbero come risultato un'Assemblea nazionale fortemente reazionaria. Lesseps fu richiamato in patria e fu deferito al Consiglio di Stato. La sua carriera diplomatica ebbe termine e si diede agli affari, promuovendo con successo, l'impresa dello scavo del canale di Suez
(1859-1869), e con meno successo, lo scavo del canale di Panama.
Nel frattempo erano sbarcati 30mila soldati francesi di rinforzo, e il 30 maggio, lo stesso giorno del patto Lesseps-Mazzini, in serata l'esercito francese occupò Monte Mario
(Natalini).

L'attacco finale
Certo ormai del sostegno dell'Assemblea Nazionale francese, Oudinot annunciò il proprio attacco a Roma per il 4 giugno, ma con l'ennesima mossa sleale, iniziò ad attaccare alle tre di notte del 3 giugno
(Garibaldi). I romani non si aspettavano l'attacco anticipato, e in più avevano trascurato la difesa nei punti in cui i francesi attaccarono (Natalini).
L'attacco di Oudinot si protrasse per un mese, con forti cannoneggiamenti dalle alture (Monti Parioli, Aventino) per evitare lo scontro corpo a corpo, che sarebbe stato molto più sanguinoso per gli aggressori. I francesi contavano 30mila uomini con 75 cannoni, la Repubblica 19mila uomini, di cui 12mila regolari, in gran parte provenienti dalle milizie pontificie.
Le mura gianicolensi, costruite nel 1643, costituirono la principale difesa dei repubblicani. I combattimenti più duri si svolsero a Porta Cavalleggeri, Porta San Pancrazio, e nelle ville dei nobili, trasformate in bastioni di difesa: villa Corsini, detta il Casino dei Quattro Venti (completamente distrutta, sui suoi ruderi è stato edificato nel 1859 l'arco dei Quattro Venti), villa Sciarra, villa Giraud detta “il Vascello” splendida costruzione a forma di nave su uno scoglio, presidiata dalla legione di Giacomo Medici, che per tre settimane resistette anche quando fu ridotto a un cumulo di macerie
(Prili). Villa Savorelli, oggi Villa Aurelia, era il quartier generale di Garibaldi, e crollò in gran parte per i bombardamenti. Davanti ad essa la batteria della Montagnola, che nella notte tra il 29 e il 30 giugno si oppose ai francesi, e dopo accanita lotta all'arma bianca tutti gli artiglieri che la difendevano furono uccisi. Villa Spada nuovo quartier generale di Garibaldi, fu tenuta fino all'ultimo dai bersaglieri di Luciano Manara (Prili).

La notte del 20 giugno i francesi si impossessarono di un tratto dei bastioni di Trastevere, dopo una lotta che vide nuovamente l'esercito romano resistere in modo strenuo e forse anche questa ulteriore conferma di fedeltà, indusse Mazzini ancora una volta a rifiutare di arrendersi (Prili).
L'esercito francese riuscì ad oltrepassare il Tevere presso Ponte Milvio, nonostante la commovente resistenza del Battaglione Universitario Romano. Si racconta che gli studenti, rimasti senza munizioni, scagliassero contro il nemico persino i loro libri
(Prili).
Il numero di vittime della Repubblica romana non è certo: per Severini morì circa un migliaio di persone, di cui 942 identificate, due terzi provenienti dallo Stato pontificio e quasi la metà soldati regolari. Per Prili, solo nell'ultima battaglia, morirono 3.000 italiani e 2.000 francesi.
Tra i difensori della Repubblica cadde Goffredo Mameli, non ancora ventiduenne, autore del testo del "Canto nazionale", poi "Canto degli Italiani", inno della Repubblica romana, e dal 12 ottobre 1946 della Repubblica italiana, e noto anche come "Fratelli d'Italia".
Mameli morì il 6 luglio di cancrena per una ferita alla gamba subita nella battaglia del 3 giugno.
Altri caduti illustri per la Repubblica furono Enrico Dandolo, Luciano Manara, Francesco Daverio, Angelo Masina, Emilio Morosini (Morigi).

L'assassinio della Repubblica
Nel 1850 Karl Marx in "Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850" menzionò "l'assassinio della repubblica romana per opera della repubblica francese".
Il 30 giugno scattò l'attacco finale, Oudinot cercò di imporre la resa, che venne rifiutata, ritenendo fosse meglio cadere con onore
(Monsagrati). Infine fu il municipio a concordare con Oudinot le modalità di consegna di Roma agli invasori dichiarando di “cedere unicamente alla forza(Monsagrati)
Il 3 luglio verso le 5 del pomeriggio incominciarono a sentirsi da lontano il tamburo e i suoni della banda militare francese: l'avanguardia delle truppe di Oudinot entrò da porta del Popolo, marciò sul Corso e via Condotti, transitando davanti al caffé Nuovo e a quello delle Belle Arti, i due caffé più frequentati dai repubblicani, dove venne accolta da fischi, urla e da «grida energumene: “viva la repubblica romana, morte ai preti, morte a Pio IX, non vogliamo i preti” »
(Severini).
Venerdì 12 aprile 1850 nel pomeriggio, dopo 17 mesi di esilio, il papa rientrò a Roma da porta San Giovanni, "più assoluto di prima"
(Bonazzi).
Il 31 luglio il papa insediò una commissione di tre cardinali, detta ironicamente "triumvirato rosso" per il colore degli abiti dei cardinali, con il compito di annullare punto per punto le leggi della Repubblica ma anche quelle di Pio IX a contenuto liberale
(Monsagrati).
Le autorità francesi soppressero immediatamente i numerosi giornali che erano nati nel breve spiraglio di libertà della repubblica. Il decreto fu pubblicato sul Giornale di Roma, l'unico consentito, anche con funzioni di giornale officiale, e l'ironia delle cose (o forse fu una scelta deliberata) vuole che sia stato pubblicato proprio il 14 luglio 1849, festa nazionale francese, ma anche giorno della memoria della rivoluzione della liberté, égalité e fraternité.
Garibaldi in piazza S. Pietro davanti a una marea di folla acclamante tenne ai suoi legionari una “orazion picciola” : “io esco da Roma. Chi vuole continuare la guerra contro lo straniero, venga con me. Io non offro né paga, né quartieri, né provvigioni; io offro fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Chi ha il nome d'Italia non sulle labbra soltanto ma nel cuore, mi segua”. Lo seguirono in 4.000
(Monsagrati), per dirigersi verso Venezia e difendere la Repubblica sorella, ma strada facendo furono attaccati dagli austriaci e dalle truppe fedeli al papa, che li uccisero o li misero in fuga. Garibaldi, con la moglie Anita, che il 26 giugno era arrivata a Roma da Nizza ed era incinta, si diressero verso Venezia, ma furono attaccati da navi austriache e si rifugiarono nel delta del Po dove Anita morì il 4 agosto 1849, probabilmente di malaria, presso la fattoria Guiccioli, in località Mandriole di Ravenna. Nei giorni seguenti, a 50 km di distanza furono fucilati Ciceruacchio, con i 2 figli (uno di 13 anni) e altri, e a Bologna il sacerdote Ugo Bassi , fuggiti da Roma con Garibaldi.
Giuseppe Mazzini restò a Roma, quasi per sfidare le autorità della restaurazione ad arrestarlo, e andò via solo il 16 luglio salpando da Civitavecchia su un vapore corso diretto a Marsiglia, pur non avendo i documenti per l'espatrio, da dove poi raggiunse Ginevra, passando per Lione
(Monsagrati).
Le truppe francesi restarono a Roma fino al 1870: il 16 luglio Luigi Napoleone, nel frattempo proclamatosi imperatore con il nome di Napoleone III, aveva dichiarato guerra alla Prussia. Il 18 luglio Pio IX, nel corso del Concilio ecumenico Vaticano I, proclamò il dogma dell'infallibilità papale. Questo diede all'imperatore francese la scusa per abbandonare il papa a sé stesso, così il 27 luglio ordinò il ritiro delle truppe da Roma
(Kertzer).
Meno di due mesi dopo, il 20 settembre, le truppe del Regno d'Italia occuparono Roma, dopo essere entrate dalla breccia di Porta Pia, e il 3 febbraio 1871 Roma divenne capitale d'Italia, mentre il resto dello Stato Pontificio era stato annesso all'Italia in varie riprese, a partire dal 1859.

I danni di Oudinot al patrimonio artistico di Roma
La scelta di Oudinot di evitare il combattimento corpo a corpo con i repubblicani, ma di bombardare a tappeto Roma dalle alture, non poteva non creare danni ingenti ai gioielli del patrimonio artistico di Roma.
Furono colpite chiese (S. Maria in Trastevere) e ospedali (Santo Spirito, quattro bombe, una delle quali ferì un'orfanella), furono completamente distrutti gli affreschi del Pinturicchio a San Cosimato, danneggiati quelli del Domenichino a San Carlo ai Catinari e l'Aurora di Guido Reni a palazzo Rospigliosi, il cosiddetto tempio della Fortuna Virile alla Bocca della Verità (oggi detto Tempio di Portuno) fu colpito
(Monsagrati). Il campanile di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo, crollò insieme al tetto all'interno della navata (Natalini).

Il tetto della Cappella Sistina fu colpito da 4 palle, rimbalzate altrove. In varie sale del Palazzo Vaticano si ebbero vetri e cristalli rotti, nella galleria degli arazzi giunsero 5 palle di stutzen (carabine), una delle quali colpì un arazzo di Raffaello (San Paolo predica ad Atene), e la Basilica di San Pietro ebbe molti danni per palle di cannone (Natalini). Nel Palazzo Colonna è tuttora conservata una palla di cannone che si confisse in uno dei gradini della galleria, ricca di opere d'arte e decorazioni preziose mentre un'altra palla si trova nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola, e una sul fianco della chiesa di San Pietro in Montorio, trovata nel 1995 e inserita in una lapide commemorativa.
I rappresentanti consolari di USA, Inghilterra, Russia, Prussia, Danimarca, Svizzera, Paesi Bassi, Regno di Sardegna, San Salvador e Portogallo inviarono formale protesta a Oudinot perché cessasse il bombardamento, senza alcun esito
(Prili).

La testimonianza di Werner
Una testimonianza dello stato dei luoghi dopo le battaglie è stata lasciata dal pittore tedesco Carl Werner
(1808- 1894), che dipinse una serie di acquarelli, dai quali nel 1858 l'incisore Domenico Amici (1808-post 1871) trasse dodici lastre ad acquaforte ("Vedute dell'assedio di Roma nel 1849"), conservate nell'Istituto Centrale della Grafica di Roma. Le stampe sono state scannerizzate e sono consultabili sul sito della Regione Lombardia https://www.lombardiabeniculturali.it/.

Le donne della Repubblica
L'aria di libertà e uguaglianza della Repubblica fu pienamente colta dalle donne romane, che fin dall'inizio presero l'iniziativa politica, partecipando alle riunioni elettorali, e l'iniziativa militare, combattendo con gli uomini sulle mura.
La giovane Colomba Antonietti di 23 anni, fornaia di Foligno (nata a Bastia Umbria), morì il 13 giugno nei combattimenti a Porta S. Pancrazio, uccisa sul colpo da una palla di cannone che la colpì di rimbalzo, dopo aver ucciso un altro patriota. Per difendere la Repubblica romana si era tagliata i capelli e si era travestita da uomo, seguendo il marito Luigi Porzi, tenente dell'esercito repubblicano. Aveva partecipato alle battaglie di Velletri e Palestrina, guadagnandosi gli elogi di Garibaldi.
Le donne parteciparono anche alla costruzione delle barricate, spesso ornandole con dei fiori, alla riparazione delle falle nelle mura alla raccolta di “sassi micidiali e pietre inesorabili” alla fabbricazione delle cartucce e al pericoloso disinnesco delle bombe inesplose. Inoltre molte romane rinunciarono ai propri gioielli per sostenere le casse repubblicane
(Carocci).
La principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso organizzò un servizio di ambulanze militari per la prima volta al mondo, prima ancora di Nightingale (che inizià la sua opera durante la guerra di Crimea nel 1854), mobilitando molte donne protagoniste del Risorgimento, anche straniere
(Monsagrati).
Tra le donne che soccorrevano i feriti si distinsero le prostitute, e questo diede al papa l'ardire di offendere in modo sfrontato tutte le donne che si sacrificavano in un compito ingrato, di pura pietà cristiana verso il prossimo. Nell'enciclica Nostis et nobiscum Pio IX scrisse che i "nemici della verità, della giustizia e di ogni onestà (...) costrinsero talvolta i poveri infermi, in lotta con la morte e privati di tutti i conforti della Religione, a rendere l’anima fra gli allettamenti di qualche sfrontata meretrice”.
Il mese successivo Cristina di Belgiojoso, in risposta alle parole del papa, gli rispose: “Santo Padre”, scrisse, “lessi in un foglio francese parte di un'enciclica di V.S. ai vescovi d'Italia in cui […] V.S. aggiunge che quelle vittime furono costrette a spirare in braccio a prostitute. La introduzione delle donne negli ospedali di Roma sendo stata opera mia [...] credo dovere rispondere alle accuse della Santità Vostra. [...] Gli ospedali tutti furono sempre regolarmente serviti da sacerdoti, e [...] non una delle tante vittime, a buon diritto dalla S.V. compiante, morì senza l'assistenza di un prete e il conforto dei sagramenti. Se la S.V. lo ignora, non lo ignorano però i Delegati Suoi, perché reintegrati appena i Cardinali nella pienezza delle facoltà dalla S.V. loro conferite, tutti i preti che avevano esercitato il loro sacro ministero negli ospedali furono incarcerati nelle prigioni del Santo Ufficio ". La lettera concludeva: “L'accusa dalla S.V. proferita non reggerà in faccia alla mia denegazione, e coloro che alle pietose Romane davano nuova taccia e nome di prostitute saranno ben pochi di numero, duri di cuore e ciechi di mente”.
(Kertzer)

Gli ebrei della Repubblica
Con l'elezione di Pio IX gli ebrei romani avevano visto una possibilità di miglioramento della loro condizione, che imponeva loro l'obbligo di residenza nel Ghetto, con la chiusura dei cancelli e il divieto di uscirne di notte, oltre alla negazione di tutti i diritti civili. I rappresentanti della comunità ebraica di Roma avevano quindi inoltrato al papa una petizione. Non avendo ottenuto risposta avevano trasmesso copia del documento a Salomon Rotschild, direttore della banca di Vienna, che forniva al papa forti somme in prestito. Rotschild si era dunque incontrato con il nunzio papale, chiedendogli di intercedere presso il pontefice. Forse per questo Pio IX nei primi due anni del pontificato aveva ammorbidito gli obblighi per gli ebrei, autorizzando alcuni di loro a lasciare il loro quartiere, mentre le porte del ghetto erano state abbattute il 10 aprile 1848, probabilmente dagli stessi ebrei
(Kertzer).
Con il ritorno dell'autorità pontificia, alla fine della Repubblica romana, il cardinale Antonelli chiarì subito che gli ebrei non avevano più il diritto di aprire negozi al di fuori dei ghetti e che presto sarebbero stati rinchiusi di nuovo all'interno dei loro quartieri
(Kertzer).
Nella notte del 25 ottobre 1849, alle 4 di mattina, i militari francesi stesero un cordone di sicurezza intorno al ghetto, dove allora vivevano cinquemila ebrei, e per due giorni la polizia papalina eseguì meticolose perquisizioni, casa per casa, con l'intento di recuperare beni ecclesiastici rubati o ricettati. Non trovarono quasi nulla ma si ebbe una conferma dell'odio razziale degli strati più ignoranti del popolo romano contro gli ebrei, utili come capro espiatorio della situazione di stallo a Roma
(Kertzer). Infatti all'esterno del Ghetto i peggiori soggetti del popolino più basso tumultuavano, in preda ad un mai sopito antisemitismo (Natalini).
Leon Carpi, nel diario "Blocco dei Francesi al Ghetto di Roma" racconta lo stupore e l'ansietà che colpì ogni famiglia, anche perché si taceva lo scopo della misura. Quando poi all'alba del giorno seguente si seppe infine che dovevano farsi delle visite domiciliari, il sollievo fu cancellato dal vedere trascinati "crudelmente in carcere uomini onorati e rispettabili, senza nessun'altra ragione che il capriccio. Si gridava per la strada che lo stato d'assedio non verrebbe tolto fino a che i capi della Comunità israelitica non denunziassero quelli che possedevano, dicevano essi, gli oggetti sottratti ad alcune chiese ed al Palazzo Apostolico"
(Natalini).

La Costituzione della Repubblica
La Repubblica romana durò solo 145 giorni, ma lasciò un documento di grande importanza, la Costituzione della Repubblica romana, scritta dall'Assemblea costituente, approvata dall'Assemblea nazionale il 1° luglio e proclamata dal Campidoglio il 4 luglio, con la lettura di tutti gli articoli, tra applausi scroscianti e sventolare di fazzoletti dalle case, in presenza dei francesi, che nel frattempo avevano occupato Roma, ponendo fine alla Repubblica romana. La Costituzione contiene principi avanzatissimi per l'epoca, ma anche di grande attualità, come la libertà di culto (principio VII), l'abolizione della pena di morte (art. 5) e il suffragio universale (art. 20), che anticipavano la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948, novantanove anni dopo, come anche la bandiera e l'inno nazionale.

Difficoltà della Repubblica e sua caduta
La caduta della Repubblica romana fu dovuta soprattutto all'attacco contemporaneo di alcuni degli stati più potenti
(Monsagrati), contro un esercito poco numeroso e composto in gran parte da volontari, che non riuscirono a stabilire alleanze internazionali. Inoltre non si riuscì a fare fronte all'enorme debito pubblico ereditato dal regime pontificio e riconosciuto dallo Stato: 46 milioni di scudi in buoni del tesoro svalutati in mano a privati e banche straniere di cui 37 retaggio del malgoverno di Gregorio XVI (Severini). L'insieme dei problemi pratici portò anche delusione e sfiducia nei cittadini.
Si ebbero anche contrasti ideologici tra Mazzini, che temeva che la Repubblica romana si risolvesse in un fenomeno locale, anziché essere il primo nucleo di una Repubblica e di una Costituzione italiana, e i repubblicani più progressisti
(Mazzuca). Inoltre Mazzini cercava di tenere a distanza qualunque discorso che alludesse alla lotta di classe, e scrisse: “l'indole, le abitudini, i locali bisogni dei popoli romani offrono amplissima garanzia della natura moderata e conservatrice della nostra Repubblica; talune di sedicenti repubblicani rossi o socialisti sono affatto inapplicabili appo noi. La Repubblica Romana ridotta e garantita nella sua normale e naturale essenza non potrà mai essere una propaganda di principi rivoluzionari e distruttori dell'equilibrio universale(Natalini).
Carlo Pisacane invece pensava alla Repubblica come uno strumento di trasformazione sociale, pur lamentando l'inadeguatezza dei democratici a suscitare la libera iniziativa popolare. La sua idea di esercito rivoluzionario vedeva la saldatura tra questione militare, prospettiva politica e questione sociale, unite nell'idea di una nazione in armi per un'iniziativa di massa
(Carocci). Una posizione in parte simile venne sostenuta da Quirico Filopanti e soprattutto da Felice Orsini, per il quale le ragioni della disfatta erano da attribuirsi all'eccessiva moderatezza mostrata dal Triumvirato mazziniano, a suo avviso responsabile di non aver assunto misure più “radicali e rivoluzionarie” e di non avere esteso l'insurrezione oltre i confini del regno di Napoli.
Però, nonostante in alcuni casi venisse sventolata la bandiera rossa
(Monsagrati), e nonostante le accuse di comunismo scagliate da Pio IX e dalla stampa reazionaria, le tensioni socialiste esistevano solo in embrione, e stentavano ad esprimere un'identità indipendente. Oltre a Filopanti, solo Carlo Rusconi, primo eletto a Bologna davanti a Filopanti, assunse posizioni assimilabili a quelle socialiste. In effetti il Manifesto del Partito Comunista era stato pubblicato da Marx ed Engels solo un anno prima, il 21 febbraio 1848.

Medaglie
Il generale Oudinot, responsabile della disfatta francese del 30 aprile e dell'attacco a tradimento della notte tra il 2 e il 3 giugno fu premiato dal papa con il conio di una medaglia che al recto riportava "Vict · Oudinotius · Gallorum · Exercitui · Praefectus" (Victor Oudinot capo dell'esercito francese) e al verso "Urbem / Expugnare Coactus / Civium et Artium / Incolumitati / Consulvit / A. MDCCCXLIX " (costretto a conquistare l'Urbe / ebbe cura / dell'incolumità / dei cittadini e delle opere d'arte). Come e quanto Oudinot si sia preso cura dei cittadini e delle opere d'arte è stato spiegato nei paragrafi precedenti.
Esistono anche medaglie satiriche contro Oudinot e il papa, come quella che riporta al recto "Ultimo Assedio _ 30 Giugno 1849" e al verso "Cani Francesi, / E Tu Brenno Imbecille / E Tu Papa Impio / Maledizione / Sopra di Voi !" (link). O l'altra, in francese: "De Par /L. Napoleon, / La France Papiste / En 1849 / Au 19° Siecle, / En Republique" ( Da parte di Luigi Napoleone, la Francia papista, nel 1849, nel 19° secolo, sotto la Repubblica) e al verso: "Detruit Rome, / En Faveur / de l'Exile de Gaete / Honte à Pie IX ! / Honte / Aux Francais !" (distrugge Roma in favore dell'esiliato di Gaeta. Vergogna a Pio IX! Vergogna ai francesi!) (link).

Il ricordo della Repubblica
Per molti anni il 9 febbraio, anniversario della Repubblica, fu commemorato dai repubblicani, in particolare in Romagna e nelle Marche
(Severini).
Nel 1941 sul Gianicolo, vicino alla chiesa di San Pietro in Montorio, in uno dei luoghi dove si svolsero le lotte più cruente, è stato costruito il Mausoleo Ossario Gianicolense, che custodisce le spoglie dei caduti per la Repubblica romana, tra le quali, in fondo alla cripta, quella di Goffredo Mameli.
La Porta San Pancrazio, semidistrutta nelle battaglie del 1849, fu ricostruita tra il 1854 e il 1856, e il 17 marzo 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione, Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, hanno promosso l’istituzione all'interno di essa di un nuovo spazio Museale dedicato alla Repubblica Romana del 1849, il Museo della Repubblica romana e della Memoria Garibaldina (link).
Nello stesso giorno, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inaugurato sul Gianicolo il muro della Costituzione della Repubblica Romana del 1849. Sul parapetto del Belvedere della Passeggiata al Gianicolo, vicino a Villa Lante, l'intero testo della Costituzione è inciso su pannelli in pietra artificiale, su un fronte di cinquanta metri di lunghezza.
Sarebbe bello tornare a festeggiare il compleanno della Repubblica romana, ogni anno il 9 febbraio.

Bibliografia
BONAZZI Luigi (1879) Storia di Perugia dalle origini al 1860. Volume II - dal 1495 al 1860. Tipografia Boncompagni e C., Perugia. link
CAROCCI Roberto (2017) La Repubblica Romana. 1849, prove di democrazia e socialismo nel Risorgimento. Odradek, Roma.
CARPI Leone (1849) Blocco dei francesi al ghetto di Roma nell'anno di grazia 1849 e secondo della loro repubblica. Tip. Sociale degli Artisti Tipografi, Torino.
link
CHIGI ALBANI DELLA ROVERE Agostino (1906) Diario del Principe Don Agostino Chigi dal 1830 al 1855. Stab. Tip. F. Filelfo, Tolentino (MC) - Wikisource link
DEMARCO Domenico (1992) Pio IX e la rivoluzione romana del 1848 : saggio di storia economico-sociale. Edizioni scientifiche italiane, Napoli.
GARIBALDI Giuseppe (1932) Memorie autobiografiche. Casa Editrice Bietti, Milano.
KERTZER David Israel (2019) Il Papa che voleva essere re : 1849: Pio IX e il sogno rivoluzionario della Repubblica romana. Garzanti, Milano.
MARX Karl (1850) Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. www.marxist.org.
link
MAZZUCA Giancarlo (2007) La storia della Repubblica Romana del 1849. Libro aperto, Ravenna.
MONSAGRATI Giuseppe (2014) Roma senza il Papa : la Repubblica romana del 1849. Giuseppe Laterza & Figli S.p.A., Roma - Bari.
MORIGI Massimo (1986) Gloria alla Repubblica romana : compendio de "La Repubblica romana del 1849" di Giovanni Conti. Edizione Moderna, Ravenna.
NATALINI Guglielmo (2000) Storia della Repubblica romana del Quarantanove. U. Magnanti, Nettuno.
PIO IX (1849) Allocuzione “Quibus, Quantisque” del Sommo Pontefice Pio IX. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.
link
PRILI Claudio (2012) Anatomia di un sogno (La Repubblica romana). Montedit, Melegnano.
SEVERINI Marco (2011) La Repubblica romana del 1849. Marsilio, Padova.

Siti consultati
Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea - Collezioni digitali - la Repubblica romana. link
Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche Archivio di Diritto e Storia costituzionali - Costituzione francese del 1848 link
Musée Carnavalet, Histoire de Paris. link
La Moneta - Network di Numismatica e Storia - Numismatica Italiana link

pagina creata il: 13 aprile 2022 e aggiornata a: 8 febbraio 2024