Tarantella del Gargano

"Demorsi Appuli curantur sono, saltu, cantu, coloribus" .
"I pugliesi, una volta morsi, si curano con il suono, il ballo, il canto e i colori".
Gaudenzio Merula, Memorabilia, Lione 1556, cap LXIX (da De Martino)

La Tarantella del Gargano è una canzone d'amore tradizionale, con testo in dialetto, raccolta il 10 dicembre 1966 a Carpìno, paese del promontorio del Gargano, in provincia di Foggia, dagli etnomusicologi Diego Carpitella e Roberto Leydi, nel quadro delle ricerche iniziate nel 1954 da Alan Lomax e dallo stesso Carpitella.
La canzone è un sonetto (sunèttë) nella forma di tarantella lenta, nella tonalità minore, detta "alla mundanarë", ossia alla montanara, cioè originaria del paese di Monte Sant'Angelo. La versione originale, nota come "Accomë j'èja fa' p'amà 'sta donnë" (come devo fare per amare questa donna), era eseguita come serenata dai vecchi cantori, che la portavano per le strade e alle finestre del paese con voce, chitarra battente, chitarra "francese" (la chitarra comune) e tamburello.
La tarantella del Gargano è stata riproposta numerose volte da gruppi musicali italiani, la versione più vicina all'originale è probabilmente quella dei Cantori di Carpino, insieme a quella registrata a Bisignano, ricordiamo poi la Nuova Compagnia di Canto Popolare, con la voce di Carlo d'Angiò, Daniele Sepe, con la voce di Brunella Selo, Lina Sastri e Antidotum Tarantulae, con la voce di Emilia Ottaviano, ma anche stranieri, come Owayn Phyfe, statunitense di origine gallese, i tedeschi Amarcord.

La taranta e la tarantella.
La tarantella è un ballo popolare originario dell’Italia meridionale, di cui esistono varie versioni nelle diverse regioni dell’area: Campania, Calabria, Puglia, Sicilia.
Anche sull’etimologia ci sono diverse versioni: secondo alcuni il nome deriva dalla città di Taranto, in Puglia, secondo altri, invece, nasce come terapia musicale tradizionale al morso di un ragno velenoso, la taranta o tarantola (Lycosa tarantula, L.), il cui nome potrebbe a sua volta derivare dalla città di Taranto.
Per secoli si è creduto che il morso della taranta, che di solito si verificava a danno di braccianti che lavoravano nei campi di tabacco in estate, innescasse il tarantismo, una reazione di profonda depressione, malinconia ed abbattimento, che necessitava di una cura particolare, una specie di esorcismo musicale, basato sulla danza del malato, dapprima lenta e imitante i movimenti di un ragno, come quello di strisciare supini. La danza diventava poi sfrenata, tale da produrre abbondante sudorazione, con espulsione del "male", identificato con lo spirito del ragno.
Il rituale musicale è stato accuratamente studiato dall’antropologo napoletano Ernesto De Martino
(1908-1965), che nel 1959 organizzò una ricerca etnografica sul campo nel Salento, nel sud della Puglia, sul morso della taranta e sui diversi aspetti ad esso collegati, con l’aiuto di un’équipe di specialisti di vari settori scientifici. Lo stesso De Martino definì il tarantismo come "un fenomeno storico-eligioso nato nel Medioevo e protrattosi sino al '700 e oltre, sino agli attuali relitti ancora utilmente osservabili nella Pensiola Salentina. Si tratta di una formazione religiosa « minore » prevalentemente contadina ma coinvolgente un tempo anche ceti più elevati, caratterizzata dal simbolismom della taranta che morde e avvelena, e della musica, della danza e dei colori che liberano da questo morso avvelenato".
La ricerca è riportata nel libro La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud (1961), dove il rimorso è il "cattivo passato che torna e rigurgita e opprime col suo rigurgito", ma è anche riferito al "morso", come evento mai successo, ma percepito come reale e che crea la necessità di una cura.
Ancora De Martino scrisse "La terra del rinmorso è, in senso stretto, la Puglia in quanto area elettiva del tarantismo" e poco oltre "In senso più ampio la terra del rimorso, cioè la terra del cattivo passato che torna e rigurgita e opprime col suo rigurgito, è l'Italia meridionale".
L'indagine rilevò come in realtà i morsi della tarantola nelle campagne erano episodici, mentre i casi di tarantismo avevano spesso come causa ritenuta scatenante altri eventi. A differenza, poi, dei veri episodi di avvelenamento da ragni o altri animali, le crisi del tarantismo si riaffacciavano ogni anno, in occasione dell’anniversario del primo “morso” o della festa dei santi coinvolti nel tarantismo, nei santuari a loro dedicati: San Pietro e Paolo a Galatina (Lecce), San Pietro a San Pietro Vernotico (Brindisi) o San Donato a Latiano (Brindisi) o nella città di San Vito dei Normanni (Brindisi).
Quello che c’era in comune tra i vari casi di tarantismo era il profondo sradicamento dei tarantati dal tessuto sociale in cui vivevano, a cui poneva rimedio temporaneo la mobilitazione dell’ambiente in cui vivevano, con raccolta di denaro, seppure tra persone tutt’altro che ricche, per pagare le piccole orchestrine (di solito composte da violino, percussioni e organetto) che mettevano in atto la terapia.
Nel 1959 De Martino aveva identificato 35 tarantati, partecipanti al rito collettivo del 29 giugno presso la chiesa di San Pietro e Paolo a Galatina.

BIBLIOGRAFIA:
DE MARTINO Ernesto (1961) La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del sud. Il Saggiatore, Milano.
Antidotum Tarantulae
https://www.youtube.com/watch?v=8ebjDqiExGw
tarantellatesti.blogspot.it http://tarantellatesti.blogspot.it/2009/09/tarantella-del-gargano-puglia.html

versioni

altre tarantelle del Gargano

links verificati il: 11 maggio 2025

 

Sta donni, comme de' j' fari pi amà 'sta donni?
Di rose l'ej a fà nu bellu ciardini,
'ndorni p'indorni a llei a annammurari,
di prete preziosi e ori fini,
'mmezzi 'nce la cavà 'na brava funtani,
j'eja fà corri l'acqua surgentivi,
'ncoppa ce lu metto n'auciello a cantari.
Cantava e repusava bella dicevi:
e pi vui so' addivintato n'auciello,
pi farimi 'nu suonno accanto a voi bella madonna.
Me l'ha fatto 'nnammurà la cammenatura e lu parlà,
si bella tu nun c'ive 'nnammurà nun me facive,
ah uei lì uei llà.
Ah pinciué 'sta 'ncagnata che vuò da me,
mammeta lu sape e t'o voj dicere pure a te.
Questa donna, come devo fare per amare questa donna?
Di rose le devo fare un bel giardino,
tutto intorno a lei per farla innamorare,
di pietre preziose e ori fini,
in mezzo ci devo scavare una bella fontana,
e ci devo far scorrere l'acqua di sorgente,
sopra ci metto un uccello a cantare.
Cantava e riposava, bella diceva:
e per voi sono diventato un uccello,
per farmi un sonno accanto a voi bella madonna.
Mi ha fatto innamorare il modo di camminare e di parlare,
se bella tu non eri innamorare non mi facevi,
ah uei lì uei llà.
Ah, piccolina
, sei arrabbiata che vuoi da me,
Tua madre lo sa e lo voglio dire anche a te.

Grazie a Ferdinando Cozzolino, che mi ha aiutato a tradurre il termine "pinciué", citandomi Salvatore Villani, esperto di tradizioni del Gargano.

Per qualunque osservazione o consiglio sul testo della pagina e sulla traduzione, scrivetemi a: andgad@tiscali.it.

pagina creata il: 17 febbraio 2017 e aggiornata al: 15 giugno 2025